Evitiamo altre stagioni buie

Evitiamo altre stagioni buie

Come saranno Villacidro, il Consorzio e il territorio nel 2075?

Premetto che non ci sarò, ma il tema mi appassiona assai.

Monsieur de La Palice risponderebbe che dipenderà dalla popolazione che allora abiterà quest’area vasta del Medio Campidano. E dalle generazioni che l’avranno preceduta.

E non riesco a dargli torto, già sin d’ora.

Ma le persone a vario titolo residenti in maniera resistente, sanno che opportunità hanno a disposizione per cambiare in meglio il destino del loro territorio?

Una posizione invidiabile, innanzitutto, nel bene e nel male.

Nel bene.

Natura, agricoltura, mari e monti, saperi e sapori, saper fare e tradizioni.

Ambiente e Competenze.

Una posizione che sarà sempre più strategica per gli sviluppi dell’area che dal Cagliaritano arriva all’Oristanese.

Nel male.

Le passate stagioni industriali e produttive hanno inquinato, continuano ad occupare suolo benchè in maniera assolutamente improduttiva e da decenni non generano più alcun tipo di ricchezza.

Centinaia di capannoni e magazzini orfani di un traffico logistico giacciono all’interno di lotti, nella migliore delle ipotesi, abbandonati.

È però possibile una svolta. A patto di fare le scelte giuste.

La transizione energetica è partita.

La distesa di tetti di capannoni e magazzini potrebbe diventare un enorme parco energetico. Mobilità green.

Non basta.

La storia energetica italiana racconta che siamo vittime dei sistemi internazionali, non dominiamo né a livello produttivo né a livello industriale, non siamo autonomi, non siamo indipendenti, non siamo autosufficienti.

Così, anche dalle suggestioni del passato arriva un messaggio, oggi ci possiamo candidare per scrivere un nuovo capitolo di questa storia, stavolta da protagonisti.

L’idrogeno e le tecnologie per sviluppare le rispettive potenzialità per esempio possono fare il paio con le competenze presenti sul territorio.

Imprese, università, laboratori di ricerca ci sono, anche per sostenere l’automazione e il risparmio energetico verso cui sta andando la logistica.

Potremmo essere il primo territorio dell’isola ad eliminare il non finito sardo che impesta comuni e campagne, coste e montagne?

Non è un libro dei sogni.

Passiamo allo spazio per nuovi insediamenti.

A fronte di norme che limiteranno drasticamente il consumo di suolo, ci sono milioni di metri quadrati di aree dismesse.

Un patrimonio che può essere valorizzato anche sul piano produttivo.

Guardiamo alle imprese di manifattura leggera.

Sono aziende che potrebbero prendere il posto di tanti immobili fatiscenti e abbandonati in un’ottica di rigenerazione. Anche qui, offrendo posti di lavoro di qualità e a chilometri zero, attirando giovani che poi, con i giusti sostegni, potrebbero vivacizzare il tessuto sociale locale e invertire il drammatico declino demografico.

Che cosa serve per arrivare in 50 anni circa ad un territorio che vada spedito in questa direzione, diventando più giovane, più bello, più ricco e più sano?

Al di là della corsa affannosa per accaparrarsi i fondi del Pnrr che un giorno finiranno, servono visione, proposte e progettazione strategica, che spingano nell’unica direzione possibile, la qualità della vita dei cittadini, dall’ambiente ai servizi, dall’offerta formativa alle opportunità per imprese e lavoratori.

Urge una guida integrata, di un patto per il futuro che scelga oggi dove andare domani.

Per ottenere tutto ciò è indispensabile una classe dirigente lungimirante, che coordini le decisioni da prendere senza vincoli ideologici, che disboschi la foresta burocratica, che indirizzi e promuova le risorse del territorio per raggiungere gli obiettivi.

Insomma, come direbbe anche Monsieur de La Palice, una classe politica che non guardi alle prossime elezioni ma alle prossime generazioni.

Un punto fondamentale è lo stimolo all’innovazione.

Combinare la creazione di ecosistemi in grado di fare economia di scala sulle tecnologie abilitanti con la tutela dell’originalità di ogni singola azienda integrata in un territorio è un punto di partenza fondamentale che va messo al servizio dello sviluppo dimensionale delle filiere e dei suoi campioni. Lo scopo è poter dare una seconda vita alle aree dismesse e metterle al servizio di quello stesso territorio sul quale hanno operato, dargli una nuova identità, riqualificare zone industriali in disuso significa offrire un futuro diverso e un nuovo valore al territorio. Anche solo coi temporary use, cioè trasformare le aree in questione in ciò di cui ha bisogno il territorio in un determinato periodo, è una strategia di riuso possibile.

La soluzione giusta per tutti i territori non esiste, ogni realtà differisce per le proprie complessità. Scheletri di cemento e acciaio, luoghi prima considerati un problema da risolvere, ora diventano un’opportunità di sviluppo e di crescita per il territorio e le comunità; motivo di vanto e orgoglio per le città che si riappropriano dei loro spazi, e così pure noi. Strutture che spesso abbandonate all’incurie e luogo di attività morte - alcune mai nate realmente per stare sul mercato - diventano il fulcro del territorio e polmoni verdi.

È l’unica visione? No. Ma almeno è una proposta di visione.

Può succedere anche a noi. Basta volerlo.

Buon fine settimana a Tutt*
Un sorriso, Nicola

PS: A proposito di rigenerazione e di opportunità è con grande piacere che anche noi richiamiamo l’attenzione sull’edizione 2022 del Premio Dessì, una delle più importanti e blasonate manifestazioni culturali del territorio.
 #nonmancate

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