Ritardo o sviluppo? Riflessioni sulle opportunità di cambiamento

Ritardo o sviluppo? Riflessioni sulle opportunità di cambiamento

Car* Tutt*,

da un lato, la maggior parte dell’incremento della ricchezza è a vantaggio dell’1% della popolazione mondiale (mentre oltre un miliardo di persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno), dall’altro, la riduzione delle disuguaglianze è inclusa tra le priorità dell’Agenda 2030 (Goal 10). L’iniqua ripartizione delle risorse e l’aumento dei divari sono strettamente interconnessi e si declinano anche in termini territoriali. Mentre i centri del sistema attirano varie forme di capitale garantendo elevati standard qualitativi, le periferie sono spesso depredate, private di opportunità di sviluppo ed esposte a rischi.

L’appropriazione di terreni agricoli, ad esempio, è una delle conseguenze più clamorose.

Il cosiddetto land grabbing è oggi una delle pratiche speculative più dannose per le aree più povere. A spingere l’espansione del fenomeno certamente contribuiscono la crisi economico-finanziaria, l’emergenza alimentare, la pandemia ed oggi anche il conflitto bellico. Non si tratta di un fatto inedito, ma nuove sono la dimensione e le modalità che il fenomeno può assumere in un’epoca non coloniale. Gli obiettivi di approvvigionamento alimentare, di agribusiness e profitto finanziario degli investitori privati hanno infatti implicazioni sempre più forti sui problemi e sui vincoli allo sviluppo dei territori che cedono la loro terra e le loro risorse.

La crescita progressiva delle disuguaglianze ci pone una serie di domande.

Innanzitutto: come reagire?

Le strade percorse finora hanno prodotto risultati scarsi.

La concorrenza tra territori è stata alimentata, negli ultimi anni, da una caratteristica destinata a segnare non solo il nostro presente, ma anche il prossimo futuro, ossia la crescente mobilità della conoscenza codificata, quella impersonale ed astratta. Questo tipo di conoscenza può essere impiegata anche da persone e in contesti diversi da quelli di origine ed è attratta dai luoghi che, nel mondo, offrono costi minori dei fattori o capacità tecnico-imprenditoriali migliori. La conoscenza generativa, ancorata al territorio di origine e diversa da luogo a luogo, è invece essenziale per realizzare innovazioni che risultino vincenti, nel nuovo gioco competitivo, ma deve essere impiegata in forme che tuttavia la utilizzino in una logica di rete globale.

Per realizzare questa transizione non bastano nuove strategie delle imprese, prese singolarmente. Occorrono anche innovazioni di sistema, che passano per lo sviluppo di idee motrici che possano rinnovare i nostri ecosistemi territoriali, associando le loro dinamiche interne alle grandi onde che stanno cambiando l’economia mondiale. Le politiche del territorio dovrebbero favorire i processi di autorganizzazione che hanno già spontaneamente preso forma nei territori, accettando la sfida del nuovo, invece di limitarsi a difendere – poco e male – ciò che abbiamo ereditato dalla storia.

La globalizzazione è un fenomeno irreversibile e sta generando profonde differenze e iniquità che in un periodo di crisi (economica, ma anche ambientale) e di risorse sempre più scarse (economiche, ma anche ambientali) rendono difficile trovare un equilibrio tra le diverse istanze. Nella sfida per una maggiore sostenibilità occorre quindi un ricorso più sistematico a dimensioni (come quella territoriale), ad attori (come le imprese, ma anche i cittadini/consumatori), ad approcci (come quello di sistema), a politiche (come quelle locali), che possano rendere perseguibile un nuovo modello di sviluppo nei diversi contesti. Il territorio può essere il contenitore di un posizionamento orientato alla specializzazione flessibile che sappia valorizzare le capacità distintive delle imprese nell’ambito delle filiere globali, ma è anche il luogo su cui si riflettono direttamente le conseguenze di una mancanza di resilienza e di antifragilità dei sistemi ambientali e sociali.

È molto importante che le politiche industriali e per l’innovazione si integrino con le politiche a base territoriale. Molti strumenti possono essere orizzontali, nazionali, indipendenti dalle specifiche caratteristiche territoriali. Altri invece, non possono che essere differenziati sul territorio e adattati agli specifici processi di crescita.

Non ci può essere crescita dell’economia se non con una ripresa degli investimenti.

La crisi economica durerà più a lungo se non si riconosce che è necessario abbandonare i modelli tradizionali di politica economica e adottare strumenti nuovi mirati all’innovazione e basati sul metodo della concertazione (governance), che permettano un cambiamento delle aspettative di medio e lungo termine e di rimuovere gli ostacoli strutturali all’innovazione. Pertanto, una nuova politica di crescita richiede un migliore radicamento sul territorio delle imprese e una visione di lungo termine condivisa o la capacità di fare sistema.

Noi, come territorio, come imprese, come decisori politici, come stakeholders e via discorrendo, come ci stiamo organizzando?

Buon fine settimana a Tutt*.
Un sorriso, Nicola

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